Da "FREEDOM SUITE" Sonny Rollins -

Sonny Rollins si è spesso permesso di chiedere la perfezione ai suoi musicisti per dargli la possibilità di registrare delle lunghe session che fino ad allora non si era propensi a fare. Ma delle sedute del Febbraio e del Marzo 1958, da cui è nato questo disco, c’è una piccola ma importante copia. Sebbene i brani dell’emozionante Freedom Suite fossero stati registrati una alla volta, non esistono altre versioni: dei quattro brani raccolti in questo disco, solo di uno si discusse la versione da pubblicare. Il quarto pezzo, "Till There I Was You" fu uno di quelli stampati così com’era stato registrato; il terzo, che è completamente diverso, suonato con sax e duetto di basso, venne pubblicato in una ristampa (Milestone M-47007), ma per la prima volta è stato aggiunto alla versione originale del disco.

¾ O.K.

 

Una delle caratteristiche più straordinarie della crescita di quest’artista, è che egli sembra essere in un costante stato dinamico, in continuo mutamento. Il suo lavoro è segnato soprattutto da un fermento incalzante, dall’operosità e dalla metamorfosi. Sonny Rollins in questo periodo, si trova senza dubbio in questa posizione.

E’ ormai generalmente riconosciuto nel mondo del jazz, che egli sia un grande artista di enorme importanza e potenzialità, ma è altrettanto difficile dire cosa Sonny sarà d’ora in poi. (E non è altrettanto sicuro dirlo: critici intransigenti che per primi l’hanno messo da parte come un hard-bopper inesperto e rozzo, dal suono aspro, avevano poi dovuto costatare come avesse sviluppato una considerevole capacità nell’esprimere un lirismo melodico profondo, ed unico). Egli non è né infallibile, né un perfetto esecutore: ciò che limita la perfezione della forma non può essere uno degli scopi dell’innovatore e di colui che crea. E’ importante affermare che egli virtualmente non è mai monotono, e che solitamente è imprevedibile. Ad esempio, se si può sicuramente definirlo un "soffiatore", Rollins dimostra in questo LP, (nella straordinaria Freedom Suite), che questo termine ha un significato più vasto e che non si limita a descrivere accordi slegati su una melodia standard o su un brano originale.

Qui Sonny si mette allopera con una formazione strumentale (un trio composto da lui, basso e batteria) che recentemente ha dimostrato un richiamo molto forte nei suoi confronti. Nel primo lato ha a che fare con avventurose re-interpretazioni di melodie popolari, passate e presenti: i due waltzer (Someday I’ll Find You e Shadow Waltz) nei quali inserisce il suo personale modello di lirismo; una nuova ballata scritta da Meredith Wilson e tratta dalla partitura del successo "Music Man", messa in scena a Broadway, ed uno dei più melodiosi e duraturi brani scritti da Matt Dennis, Will You Still Be Mine. Ma la sostanza dell’album la si trova senza dubbio nel brano che apre il primo lato: The Freedom Suite. Essendo una composizione che nessuno ha mai tentato prima d’ora in modo così preciso, potrebbe risultare come un brano jazz di intensa e durevole eloquenza. Non rimane quindi che apprezzarla come una rara esperienza d’ascolto ed una vivace dimostrazione che il continuo mutamento, l’innovazione e l’imprevisto siano fra le più stimolanti qualità che un artista creativo possa offrire.

The Freedom Suite è la prima impresa di Sonny nella composizione estesa. Così come l’approccio al suo strumento, come oggetto, e all’intera struttura del jazz moderno che è caratterizzato dall’allontanamento da convenzioni e prassi riconosciute, anche la sua concezione di brano esteso è altrettanto strettamente personale ed insolita. La suite è costruita su una base assai semplice: consiste fondamentalmente di una figura melodica singola che viene sviluppata ed improvvisata sia per mezzo che attraverso parecchi differenti fraseggi. La differenza fra le diverse sezioni, può essere nel tempo come nella ritmica, o semplicemente nel modo. Ma queste differenze, sono di secondaria importanza rispetto al totale senso armonico dell’espressione: la suite è una composizione completa di per se stessa, così da essere all’avanguardia e parte di ciò che Rollins vuole dire, e che qui diviene un’opera non frazionata. E’ un lato completo e ininterrotto del disco e non una serie di solchi separati.

Più precisamente, ciò in cui consiste quest’unità non è cosa facile da descrivere; ma dopo averla ascoltata parecchie volte ed averne discusso con Sonny, sento che la difficoltà nel cogliere il suo significato, sia una parte importante del suo messaggio. Volendo, ciò non è fondamentale, ma forse è possibile apprezzare la suite ascoltandola come diciannove minuti di affascinanti variazioni su un tema, suonate da un grande improvvisatore e da due musicisti, tra i più eleganti che una sezione ritmica jazz possa offrire. Ma questo approccio pone un inopportuno accento sugli aspetti virtuosistici dell’opera. E’ vero che non è facile per un solo sax suonare diciannove minuti di musica senza cadere nel ripetersi e nella banalità, ma se ci si fermasse a questo si perderebbero delle grandi opportunità.

Ed è per questo motivo, visto che in pochissime occasioni si è tentato di farlo, che questa è musica che affronta un argomento specifico. È, come dice il titolo, musica sulla "libertà", ma poiché in questa parola sono racchiusi diversi significati, il suo utilizzo in questa sede ne rivela le molteplici sfaccettature. Nella maggior parte dei generi musicali, una composizione che abbia come oggetto uno specifico argomento, è messa in relazione con un elemento concreto, il cosiddetto "progetto musicale". Ma nel jazz, che è un genere che molto riflette le espressioni personali del musicista, il "progetto musicale" ha come oggetto più che un qualcosa, un qualcuno. Questa suite riguarda quindi Sonny Rollins: più precisamente riguarda la libertà, così come Sonny cerca di percepirla. Egli è un artista creativo che vive a New York negli anni cinquanta; è un musicista che avendo assorbito elementi sia di Bird e Monk, sia di molti altri, si è evoluto seguendo una via personale; è un Nero. Ed è così che il significato di libertà per Rollins si combina non solo con tutti questi aspetti, ma sicuramente anche con molti altri. In un certo senso quindi, l’allusione è verso la libertà musicale, vale a dire verso le sue insolite combinazioni di composizione e di improvvisazione; in un altro, si riferisce alla libertà spirituale e fisica, alla presenza o all’assenza di questi aspetti nella sua vita e in quella degli altri Americani con i quali è in relazione. Tutto ciò rende la suite un’opera non propriamente su Emmet Till o Little Rock o su Harlem, o sulla legge elettorale della Louisiana o della Georgia, ma piuttosto sulla libertà artistica del jazz. Ma essa è in ogni modo legata a tutti questi fatti, che hanno suscitato in Rollins una reazione intellettuale ed emotiva.

La suite rimane quindi un lavoro dedicato essenzialmente alla libertà: è consacrazione, omaggio, sdegno, impazienza e gioia – sentimenti che ogni uomo percepisce a modo suo e che Rollins sente personalmente ed essenzialmente come libertà – e tutti espressi attraverso lo strumento che ha a disposizione. Qualcun altro, avendo questi stessi sentimenti, potrebbe scrivere un saggio, un romanzo, dipingere un quadro o, non avendo alcuna predisposizione artistica, potrebbe prendere un treno che lo porti in un’altra città, o trovarsi in una rissa senza sapere perché. Sonny Rollins, essendo ciò che è, scrive musica e la suona, e (senza essersi mai espresso in questo modo), comunica così apertamente con gli altri due musicisti, che questi lo accompagnano con grande comprensione, giungendo in alcuni casi a sviluppare propri assolo frutto di questo incontro. Ciò, per quanto io riesca a capirne, è The Freedom Suite.

 

Sonny Rollins è ormai, per usare un’espressione tipica di chi introduce un oratore, "un uomo che non ha bisogno d’alcuna presentazione". Per l’esattezza, è nato a New York nel Settembre del 1929, suona il sax dal 1946, mettendosi per la prima volta in evidenza al fianco di Clifford Brown nel quintetto di Max Roach nel 1955, per poi recentemente guidare diversi gruppi. Si dovrebbe inoltre prestare attenzione, nel caso qualcuno non lo avesse ascoltato ultimamente, al fatto che Sonny sia la più sensazionale forza del nuovo jazz negli ultimi anni, e che il suo influsso ha letteralmente rivoluzionato il modo di suonare il sax tenore. Max Roach e Oscar Pettiford, ormai da parecchio tempo, non hanno bisogno di presentazioni: diciamo solo che Max è il più famoso batterista jazz e Oscar gode della stessa reputazione fra i bassisti della scorsa decade, aggiungendo solo che qui hanno superato se stessi.

¾ Orrin Keepnews

 

In America la Cultura Nera è molto radicata: le sue espressioni colloquiali, il suo carattere, la sua musica. E’ davvero ironico che i Neri, che più di qualsiasi altro popolo possono rivendicare come la propria la cultura americana, continuino ad essere perseguitati e repressi, a tal punto che la cultura Afroamericana, che ha esemplificato la tolleranza con la sola esistenza, viene trattata inumanamente.

¾ Sonny Rollins

 

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